| di
L. S.
L’antico possessore del luogo, il notaio Giulio Licio di Posta,
amministratore e uomo dei più facoltosi della contea di Alvito,
attratto dalla salubrità dell’aria e dalla grande bellezza
del luogo, vi aveva fabbricato nel 1588 una palazzina priva di ornamenti
per albergo dei pescatori, dedicandola (come tramanda l’epigrafe
tuttora visibile) “Al Genio del limpidissimo Fibreno,
delizia delle ninfe e de’ pesci”.
Nel 1600 il podere e la palazzina, passarono (non si sa come) ai
Gallio, recenti feudatari dello Stato di Alvito, i quali, su progetto
di un architetto ancora ignoto, la ampliarono e la dotarono di camini
alla francese, di stucchi, di statue, di fregi, di stemmi, di una
peschiera e la circondarono con altri appezzamenti di terreno estesi
ben 60 ettari, impiantando un orto botanico, un pomario, un’uccelliera,
fontane, viali, boschetti.
Quindi la resero accessibile attraverso uno stradone (ancora presente)
di 52 palmi napoletani che si originava da un maestoso portale recentemente
restaurato dalla Sovraintendenza ai Monumenti del Lazio.
“A metà della strada regia da Napoli per Roma”
tra Alvito e Sora, fiancheggiata a mezzogiorno dalla odierna Statale
della Vandra, la Villa Gallio si annuncia ancora col suo imponente
arco di accesso di ordine tuscanico, lambita a settentrione dal
taciturno Fibreno che s allarga in terso specchio a forma di laghetto
dal fondo smeraldino, feracissimo di trote.
Guardata in lontananza dalla grigia mole del castello longobardo
di Vicalvi e ispirata al modello della villa dominica romana, questa
“gratissima stanza di eccelsi signori” (un giorno al
centro della tenuta ducale) ricorda da vicino lo stile delle ville
palladiane del Veneto e (benché bisognosa di restauro) grazie
al rapporto scenografico edificio-paesaggio, conserva intero il
suo fascino, donando ancora allo studioso ed al visitatore sensazioni
e immagini di rara suggestione.
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VILLA GALLIO
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